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Il biglietto d’ingresso nel mondo dei pari

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Dalla Costituzione della Repubblica Italiana

Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Art. 22: Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.

Molti sono i racconti che gravitano intorno alla Shoah, e che tutti noi abbiamo ancora la fortuna di ascoltare dalla viva voce dei suoi protagonisti.

Perpetuarne il ricordo è un privilegio, oltre che un dovere, se consideriamo il fenomeno del negazionismo, pericolosamente diffuso a tutti i livelli.

Esistono negazionisti in ogni ambito, perfino laddove ci si aspetta che la realtà venga semplicemente accettata: dall’olocausto al femminicidio, fino alla stessa pandemia, sebbene quest’ultima sia ancora in atto, e con l’evidenza delle sue morti dovrebbe aver già messo a tacere qualsiasi scettico. L’esperienza dei social network insegna che al diktat della negazione si affianca spesso la brutalità del linguaggio. 

L’unica risposta risiede nella conoscenza, in quel sapere che deve essere tramandato anche quando l’ultima tra le voci dei sopravvissuti si sarà spenta. Come ci raccontano Primo Levi e Liliana Segre, e come osserva il nostro Eduardo De FIlippo nella sua Napoli milionaria, l’indifferenza ferisce più di qualsiasi arma; e ha il potenziale di una macchia che, allargandosi, si spande fino a divenire un mare. Liliana Segre lo chiama il mare nero dell’indifferenza, quando si ha la fortuna che essa rimanga tale e non si trasformi in qualcosa di più grave, come odio e intolleranza. Ricordiamo sempre che l’indifferenza, nel suo matto divenire, può ben tramutarsi in ‘diffidenza’ verso coloro che raccontano o, semplicemente, ascoltano. E torna tristemente di moda il termine buonismo, un tempo riservato a chi osava mostrare un minimo di pietà umana verso i deportati.

Ma torniamo alle nostre storie.
Numerosi sono i titoli di film, libri e documentari, che vengono proposti nella settimana della memoria; ed è giusto lasciare questo compito ai professionisti della narrazione mediatica.

Nel mio piccolo, desidero condividere solo una riflessione.

Sappiamo che il racconto di Anna Frank si interrompe al momento dell’arresto, quando i fogli del suo diario vengono sparsi sul pavimento in seguito all’irruzione della Gestapo nel rifugio segreto. 

Grazie alla testimonianza dei suoi compagni di prigionia, è stato possibile ricostruire anche gli attimi – e i giorni – successivi. Nello stesso vagone merci, quella notte infausta, viaggiava anche un gruppo di bambini che stringevano tra le mani le loro pagelle scolastiche. Un gesto fortemente simbolico, giacché quel pezzo di carta rappresenta la più innocente e quotidiana tra le dimensioni umane di un bambino. 
È il suo piccolo biglietto d’ingresso nel mondo dei pari; è il segnale inequivocabile della sua esistenza come persona, in quegli anni in cui gli ebrei perdevano finanche il diritto al nome, sostituito da un numero tatuato sul braccio. E l’allontanamento di bambini e adolescenti dalle aule scolastiche rappresentava il primo passo verso la cancellazione della loro identità in fieri.
A quel gruppo di bimbi, la maestra aveva raccomandato di non smarrire la pagella, di tenerla ben stretta affinché i nuovi adulti – che avrebbero incontrato al termine di quel viaggio in treno – potessero conoscere i loro nomi e i loro voti scolastici, magari apprezzandoli anche per lo sforzo profuso durante i mesi della permanenza in classe. Non potevano sapere, quei giovani scolari, che la mano degli adulti in uniforme – ben lungi dall’apprezzarne le doti di studio – li stava conducendo alle camere a gas. In quanto prigionieri inabili al lavoro. 

18 aprile 2015. Sul corpo di un ragazzo di quattordici anni, proveniente dal Mali e affogato nelle acque del Mediterraneo, viene ritrovata una pagella scolastica, piegata con cura e cucita all’interno della tasca. Il ricordo tangibile di quando frequentava la scuola, nella sua terra natale, come un ragazzino qualsiasi, lontano dagli orrori di una traversata che – spesso – conduce alla morte tra le onde di un mare straniero.

C’è chi esulta sui social, al grido di Uno di meno, tacciando tutti gli altri (a suo dire ipocriti) di buonismo. 
A voi il parallelismo.

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